mercoledì 23 marzo 2016

Riflessione sulle letture del Giovedì Santo

Nel Rito Ambrosiano le letture del Giovedì Santo (24 marzo 2016)  
[Gn 1,1-3,5.10 - 1Cor 11,20-34 - Mt 26,17-75] 
vengono così commentata e da Mons. Cesare Pasini, Prefetto Biblioteca Apostolica Vaticana

«Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione».Al termine delle tentazioni nel deserto san Luca preannunciavache «il diavolo, dopo aver esaurito ogni tentazione,
si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13).La passione è il momento “fissato” della tentazione estrema,come dice Gesù: «Ogni giorno ero con voi nel tempio
e non avete mai messo le mani su di me;
ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre» (Lc 22,53).La preghiera difende dalla tentazione. 

Impressiona una frase del cardinal Bergoglio
(dal volume Aprite la mente al vostro cuore)a commento della preghiera angosciata di Giona:«Per un uomo o una donna di preghiera,
quando si chiude una porta,
se ne apre sempre un’altra e nulla rimane così com’è».È una frase colma di speranza e di fede:
proprio dove qualcosa sembra chiudersi e fallire,proprio lì Dio sa aprire, sa far fiorire possibilità di amore(è la logica che conosciamo bene ma che fatichiamo a imparare:logica dell’incarnazione, del vangelo del regno,del chicco di grano che, caduto in terra, produce molto frutto).Giona si sente rivolgere da Dio una seconda volta la parola:
«Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia...».Come se gli dicesse: “Riprendi l’impresa che ti ho affidato”.Non è un invito a far marcia indietro, in modo nostalgico,ma è «come chi permette alla risposta di Dio di fare breccia
nello scoramento e nella sensazione di inutilitàche a volte riconosciamo in noi stessi,
intravedendo così nuove possibilità per il futuro».Nella preghiera Giona vede riaprirsi una porta nella sua vita. Gesù nel Getsemani sperimenta una debolezza totale:«cominciò a sentire paura e smarrimento» (Mc 14,33),sino a dire: «Sono triste da morire» (Mc 14,34).Tante volte sant’Ambrogio ha rimarcato questa debolezza,ricordando che “per me” Gesù ha voluto provare tutto questo.Gesù è entrato nella preghiera gravemente provato e ferito,e ne è uscito con una via nuova: «Padre mio,
se questo calice non può passare via senza che io lo beva,
si compia la tua volontà».Ancora il commento del cardinal Bergoglio:«Dio si fa presente proprio nella debolezza.La nostra carne ferita permette a Dio di manifestarsi.
Bisogna solo riconoscere la nostra debolezza
e lasciare spazio nelle nostre vite alla preghiera,
alla manifestazione della forza divina.
Il limite, la povertà, può essere convertito in croce
attraverso la nostra preghiera.
Il male si compie quando un uomo o una donna
non vedono che i loro impedimenti
e non pregano, ma si lamentano.
In quel modo l’uomo smette di essere il servitore del Vangelo,
ma si trasforma in vittima.Così comincia il processo che porta alla bestemmia...
e la bestemmia è l’esatto contrario della preghiera.
Non c’è altro modo per imparare a riconoscere
e superare i propri limiti e la propria indigenza:
o si prega o si diventa blasfemi».Espressioni forti ma molto vere, non però gravose o pesanti:non ci “buttano addosso la croce”,ma ci permettono di riconoscere la via di Dio sempre!L’amore di Dio per noi conosce questa “fantasia” di bene,che ha operato anzitutto nel cuore e nella vita di Gesù,sin dentro la sua Pasqua, proprio dentro la sua Pasqua.Le vie dell’amore di Dio, della sua misericordia,sono colme di risorse impensabilie traggono alla fede il cuore dell’uomoche vorrebbe così tanto percorrere altre vie.Quando sto alla superficie, mi lamento e voglio altro;quando entro nel profondo della preghiera,Dio «apre una porta», la sua porta, «e nulla è come prima»! Concludo con due brevi riferimenti. Il primo riferimento è all’Eucarestia, alla Chiesa, al sacerdozio:il giovedì santo lo ricorda,
e non si tratta di realtà diversa, lontana, in concorrenza.Nell’Eucarestia Gesù esprime pubblicamente il suo “sì” a Dio,lo stesso sì del Getsemani proclamato e comunicato ai suoinella celebrazione sacramentale:nel pane Gesù offre «il mio corpo, che è per voi»e nel vino «la nuova alleanza nel mio sangue».E coinvolge anche i suoi: «Fate questo in memoria di me».La preghiera raccolta, interiore, combattuta, affidataè il momento di adesione personale e profonda a quanto
il dono-sacramento condiviso, ricevuto e da testimoniareesprime e realizza, e affida alla comunità dei discepoli.Con questo spirito celebriamo la Messa nella cena del Signore. Il secondo riferimento e alle molte porteche si chiudono e si aprono durante la vita:anche in una vita regolare,
in episodi grandi o gravi ma anche in piccole cose continue(situazioni che cambiano, attese che non si compiono,acciacchi o malattie, sorprese, prove o tentazioni o debolezze,incontri, abbandoni, spostamenti, stanchezze, adattamenti,cambiamenti sociali ecc.).Tutte educano alla speranza e alla fede, alla duttilità anche.Poi viene la porta che si chiude il venerdì santoe la domenica di Pasqua si apre un’altra porta
«e nulla rimane così com’è»:chiediamo al Signore che ci alleni alla speranza e alla fede,di porta in porta, fino alla porta del suo amore che dà vita:«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato;
entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9).