venerdì 25 marzo 2016

Pasqua di Risurrezione (27 marzo 2016)

Una riflessione di Mons Cesare Pasini -da completare personalmente- sulle lettura che Rito Ambrosiano (At 1,1-8a - Sal 117 - 1Cor 15,3-10a - Gv 20,11-18) propone per la Pasqua di Risurrezione.

«Questo è il giorno che ha fatto il Signore;
rallegriamoci e in esso esultiamo»:
il ritornello del salmo responsoriale
lo fa ripetere con insistenza.
Perché, assicura e ugualmente ripete con insistenza:
«il suo amore è per sempre».
È un amore che vuol dare garanzie, come scrive san Luca:
Gesù «si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione,
con molte prove, durante quaranta giorni».

Anche Paolo elenca i testimoni, come ha ricevuto
e mettendosi come ultimo fra coloro ai quali Gesù apparve.
È un amore che vuol far capire, come ricorda ancora Luca:
Gesù parlò loro «delle cose riguardanti il regno di Dio»;
e ugualmente Paolo che spiega come tutto avvenne
«secondo le Scritture».
Bisognava ricordare le promesse che Dio aveva fatto,
bisognava riconoscere che Dio era stato fedele;
bisognava capire il profeta che aveva annunciato il “servo”
e riconoscere che Gesù era quel servo che aveva patito,
e capire che proprio quello era il regno
raccontato da Gesù nelle parabole di misericordia
e mostrato nei gesti di benevolenza verso malati e peccatori.
Non era e non è cosa immediata:
da sempre ci si attende un Dio più deciso e risoluto, se c’è;
o almeno decisioni senza Dio, purché risolutrici.
Ma era ed è un Dio “proprio lui”,
desideroso di un rapporto personale e profondo
e per questo rispettoso della libertà dei suoi interlocutori;
un Dio che cerca l’uomo, la donna, il popolo,
sognando di costruire insieme la città degli uomini;
un Dio che fin nel profondo del suo essere è comunione
e per la comunione di tutti fra loro e con lui
è pronto a donare vita e risurrezione.

Questo Dio si imbatte nelle lacrime: «Maria di Màgdala
stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva».
Sono così tante le lacrime, e sembra
che l’umanità incontri sempre più gravi motivi per piangere.
Gesù si avvicina a chi piange, Dio si avvicina a chi piange,
Dio prova dolore per il dolore dei suoi figli.
Gesù risponde e dà gioia.
Comprendiamo che Pasqua è Dio che asciuga le lacrime;
e noi siamo nella Pasqua quando asciughiamo le lacrime:
«Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso»...
Però la gioia passa attraverso all’affinamento della domanda
e attraverso alla sorpresa della risposta.
La domanda va affinata: «Chi cerchi?».
Certo, cerchi la felicità, la pace, l’armonia,
cerchi anche la vivacità, la dinamicità del vivere,
cerchi il gusto del sorriso o del riso, il bene della condivisione,
il fascino di tutto ciò che è bello, il gusto di ciò che è buono,
la fiducia in ciò che è vero... Ma Chi cerchi?
Nell’esperienza di san Francesco
c’è l’incontro risolutore con il lebbroso; ma non basta:
«Francesco incontra il volto autentico di Dio
nella carne povera e sofferente degli uomini,
ma è mediante la Croce che egli riesce a capire fino in fondo
il grande dono ricevuto da Dio nell’abbraccio del lebbroso»
(Marius Petru Bîhla). Ancora la domanda: Chi cerchi?
Non riesco a trovare l’uomo e ogni più nobile atteggiamento,
se non confermo e identifico Colui che cerco:
«Ho cercato l’amore dell’anima mia...
Voglio cercare l’amore dell’anima mia» (Ct 3,1.2).
La sorpresa della risposta è Gesù risorto,
non il custode del giardino, ma il Creatore stesso del giardino,
non un padrone, ma lo Sposo dell’umanità:
questa pagina del vangelo riecheggia il Cantico dei cantici
e il sentimento di amore dello Sposo per l’umanità rinnovata:
«Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!» (Ct 4,1).

Non una riflessione per sognare e non pensare
a una realtà talora violenta, tremenda e insopportabile.
Ma la necessità (e la verità) di un’esperienza di fede
che non può accontentarsi di qualche buon pensiero:
abbiamo ricevuto la garanzia del Risorto,
abbiamo ricevuto le sue spiegazioni sul Regno,

impariamo a cercare il Risorto...