Non a parole o con la lingua, ma con i fatti e nella verità. (1 Gv 3,18)
Periferie
come deserti, dove capisci che qualcosa non c’è, manca, terribilmente
sfugge.
Periferie
dove il diluvio universale non è solo un racconto biblico, ma l’esito di ogni
pioggia abbondante, quando i fiumi si incavolano e portano in superficie tutto
quello che abbiamo per decenni forzatamente interrato e nascosto.
Case prese d’assalto, abitate sfondando porte e serrando finestre. Case senza ascensori, in una deroga incomprensibile di elementari regole edilizie, dove il vecchietto del quarto piano, senza averne nessuna colpa, vive di fatto come fosse agli arresti domiciliari. Ma anche gente che non esce di casa per la paura che gli si scippi il tetto sotto cui vivere.
Stranieri
che ci osservano: chi per approfittare delle maglie troppo allargate del
rispetto delle regole e della legalità, ma anche chi si sente infastidito e
ferito dalla nostra feroce insensibilità che ha presto dimenticato il servizio
prestato nelle case degli anziani, i lavori per anni da loro accettati da noi
detestati e snobbati, il troppo nero, compensi che gli italiani avrebbero
ancora oggi rifiutato, se non fossero anch’essi vittime di una terribile crisi
economica.
I
problemi sono diventati grandi come mari e impraticabili come deserti.
Si
grida e si accusa, come nel deserto, per una incapacità organizzativa che ci
massacra tutti.
Visi
stremati che spingono fuori da case, dalle cantine, dai negozi, cupe montagne
di fango e detriti, avviliti per l’ennesima disgrazia annunciata.
Che
ci azzecca la città dell’Expo con le case attorno a piazzale Selinunte, quelle
di via Ricciarelli o al Vigentino? Come spiegheremo, a noi stessi e poi agli
altri, che nella metropoli dei giardini verticali e del moderno colosseo nella
zona Garibaldi ci sono anche case dai balconi pericolanti, i cortili
abbandonati all’incuria, le scale scrostate e i vetri rotti?
Il
destino di una città non si gioca certo in centro ma nelle sue periferie, così
che tenere da conto il salotto buono non può farci dimenticare il resto della
casa.
Le
periferie domandano un nuovo atto d’amore, oltre che di fattiva responsabilità.
Nel
deserto grida ancora Giovanni Battista, come moltitudini di uomini e donne
gridano nelle periferie la necessità di segnali credibili di cambiamento.
Raddrizzare le vie, colmare le valli, tracciare percorsi valgono anche per noi,
nel nostro tempo contraddittorio e ferito.
Darsi
da fare è un imperativo, lasciar perdere un pericoloso azzardo.
I
problemi lasciati nel cassetto esplodono inesorabilmente, in una città che ancora qualche decennio fa
era bella e, soprattutto, onesta. [Don Leone