mercoledì 19 novembre 2014

nel deserto ... per vivere l'Avvento.

Non a parole o con la lingua, ma con i fatti e nella verità.   (1 Gv 3,18)


Periferie come deserti, dove capisci che qualcosa non c’è, manca, terribilmente sfugge. 
Periferie dove il diluvio universale non è solo un racconto biblico, ma l’esito di ogni pioggia abbondante, quando i fiumi si incavolano e portano in superficie tutto quello che abbiamo per decenni forzatamente interrato e nascosto.



Case prese d’assalto, abitate sfondando porte e serrando finestre. Case senza ascensori, in una deroga incomprensibile di elementari regole edilizie, dove il vecchietto del quarto piano, senza averne nessuna colpa, vive di fatto come fosse agli arresti domiciliari.  Ma anche gente che non esce di casa per la paura che gli si scippi il tetto sotto cui vivere.
Stranieri che ci osservano: chi per approfittare delle maglie troppo allargate del rispetto delle regole e della legalità, ma anche chi si sente infastidito e ferito dalla nostra feroce insensibilità che ha presto dimenticato il servizio prestato nelle case degli anziani, i lavori per anni da loro accettati da noi detestati e snobbati, il troppo nero, compensi che gli italiani avrebbero ancora oggi rifiutato, se non fossero anch’essi vittime di una terribile crisi economica.
I problemi sono diventati grandi come mari e impraticabili come deserti.
Si grida e si accusa, come nel deserto, per una incapacità organizzativa che ci massacra tutti.
Visi stremati che spingono fuori da case, dalle cantine, dai negozi, cupe montagne di fango e detriti, avviliti per l’ennesima disgrazia annunciata.
Che ci azzecca la città dell’Expo con le case attorno a piazzale Selinunte, quelle di via Ricciarelli o al Vigentino? Come spiegheremo, a noi stessi e poi agli altri, che nella metropoli dei giardini verticali e del moderno colosseo nella zona Garibaldi ci sono anche case dai balconi pericolanti, i cortili abbandonati all’incuria, le scale scrostate e i vetri rotti? 
Il destino di una città non si gioca certo in centro ma nelle sue periferie, così che tenere da conto il salotto buono non può farci dimenticare il resto della casa.
Le periferie domandano un nuovo atto d’amore, oltre che di fattiva responsabilità.
Nel deserto grida ancora Giovanni Battista, come moltitudini di uomini e donne gridano nelle periferie la necessità di segnali credibili di cambiamento. Raddrizzare le vie, colmare le valli, tracciare percorsi valgono anche per noi, nel nostro tempo contraddittorio e ferito.
Darsi da fare è un imperativo, lasciar perdere un pericoloso azzardo.
I problemi lasciati nel cassetto esplodono inesorabilmente,  in una città che ancora qualche decennio fa era bella e, soprattutto, onesta. [Don Leone