Per riunire insieme i
figli di Dio che erano dispersi
1. La
direzione sbagliata.
Sì,
abbiamo fatto un lungo cammino; sì, abbiamo compiuto molti progressi; sì, siamo
andati molto lontani nella direzione di garantirci la sicurezza nella nostra
solitudine, abbiamo corazzato le porte, cancellato i nomi dai campanelli dei
condomini, resi irriconoscibili i numeri dei nostri telefoni. Abbiamo creato le
condizioni favorevoli per rivendicare il nostro diritto all’individualismo, per
fare e pensare quello che ciascuno vuole, pronti a difendere con suscettibilità
intrattabile chi si permettesse di esprimere una valutazione: “Guai a chi mi
dice: questo è giusto, questo è sbagliato. Se io penso o faccio così, chi sei
tu per permetterti di dirmi qualche cosa?”. Abbiamo molti mezzi per rendere
interessante il nostro isolamento, possiamo collegarci con il mondo intero e
curiosare nella vita di tutti, senza uscire di casa, senza stringere una mano,
senza coinvolgerci in nessuna responsabilità.
Abbiamo
messo in atto molte cautele per evitare legami stabili, per sottrarci a
responsabilità irrevocabili, costruendo legami affettivi precari, rivendicando
la possibilità di infrangere le promesse e poter tornare a una vita solitaria
anche dopo aver promesso amore eterno.
Sì,
abbiamo fatto un lungo cammino nella direzione una condizione di solitudine,
una mentalità individualistica, un isolamento disimpegnato, una pratica degli
affetti ritrattabili.
Siamo
andati molto lontani in questa direzione, ma ora sappiamo che è una direzione
sbagliata.
2. L’invocazione.
Ora ci
domandiamo: chi ci salverà dalla solitudine? Come potremo uscire da un
isolamento che per un certo tempo è sembrato propizio all’euforia di una
libertà intesa come arbitrario capriccio e che ora ci pesa come una desolazione
smarrita?
Ci sarà
anche chi pensa che alla solitudine si può porre rimedio con una aggregazione
costruita sugli interessi comuni, con una compattezza recuperata inventando un
nemico che incombe per invadere la nostra terra, come spiega uno di loro Caifa, che era sommo sacerdote
quell’anno, come un consenso guadagnato con promesse di benessere facile.
Ci sarà chi pensa che alla solitudine si può porre rimedio inventando compagnie
consolatorie: se hai bisogno di carezze forse si inventerà una macchina, un
robot pronto a dispensare i gesti di cui hai nostalgia, se hai bisogno di
sentirti importante per qualcuno, forse basterà un cucciolo che fa festa quando
ti vede rientrare.
Ma noi
riconosciamo la natura palliativa di questi rimedi e continuiamo a domandare:
chi ci libererà dalla solitudine con una presenza amica, con una convocazione
per una comunità che sia segno di una profonda e affidabile comunione?
3. Gesù doveva morire per la nazione.
A
questa invocazione risponde lo Spirito che rende profeta Caifa il sommo
sacerdote: profetizzò che Gesù doveva
morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire i
figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,51-52).
Gesù dà
la sua vita per liberarci dalla dispersione e dalla solitudine. Come può la
morte di Gesù, abbandonato da tutti, diventare principio di comunione che
raduna in unità tutti noi, non solo la nazione, ma tutti i figli di Dio?
Gesù,
morendo in quel modo, come ha attratto lo sguardo del centurione, attira lo
sguardo di tutti: guarderanno a colui che
hanno trafitto. Gesù ci raduna perché il suo modo di morire attira lo
sguardo di tutti: ecco come rinasce la comunione, quando i fratelli e le
sorelle, invece di continuare a guardarsi addosso, invece di continuare a
guardarsi gli uni gli altri, volgono tutti lo sguardo nella stessa direzione.
Nella contemplazione di Gesù che dà la vita come agnello innocente immolato per
tutti viene seminata nell’umanità la promessa di una via di salvezza, di una
opera di Dio che convoca tutta l’umanità: innalzato da terra attira tutti a sé.
Così si manifesta l’opera di Dio, si squarcia il velo del tempio e si riconosce
che cosa Dio vuole: riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.
Gesù,
morendo in quel modo, dona lo Spirito, che rende possibile ai figli degli
uomini vivere da figli di Dio, riconoscersi fratelli e convincersi che la vita
si compie non difendendosi dagli altri, ma praticando il comandamento di Gesù,
fino a fare della vita un dono, come ha fatto Gesù.
Così ci salva dalla
solitudine la morte di Gesù: con il dono della fede, con il dono dell’amore,
edificando la Chiesa dalle genti.