Una riflessione di Mons Cesare Pasini -da completare personalmente- sulle lettura che Rito Ambrosiano (At
1,1-8a - Sal 117 - 1Cor 15,3-10a - Gv 20,11-18) propone per la Pasqua di Risurrezione.
«Questo
è il giorno che ha fatto il Signore;
rallegriamoci
e in esso esultiamo»:
il
ritornello del salmo responsoriale
lo
fa ripetere con insistenza.
Perché,
assicura e ugualmente ripete con insistenza:
«il
suo amore è per sempre».
È
un amore che vuol dare garanzie, come scrive san Luca:
Gesù
«si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione,
con
molte prove, durante quaranta giorni».
Anche
Paolo elenca i testimoni, come ha ricevuto
e
mettendosi come ultimo fra coloro ai quali Gesù apparve.
È
un amore che vuol far capire, come ricorda ancora Luca:
Gesù
parlò loro «delle cose riguardanti il regno di Dio»;
e
ugualmente Paolo che spiega come tutto avvenne
«secondo
le Scritture».
Bisognava
ricordare le promesse che Dio aveva fatto,
bisognava
riconoscere che Dio era stato fedele;
bisognava
capire il profeta che aveva annunciato il “servo”
e
riconoscere che Gesù era quel servo che aveva patito,
e
capire che proprio quello era il regno
raccontato
da Gesù nelle parabole di misericordia
e
mostrato nei gesti di benevolenza verso malati e peccatori.
Non
era e non è cosa immediata:
da
sempre ci si attende un Dio più deciso e risoluto, se c’è;
o
almeno decisioni senza Dio, purché risolutrici.
Ma
era ed è un Dio “proprio lui”,
desideroso
di un rapporto personale e profondo
e
per questo rispettoso della libertà dei suoi interlocutori;
un
Dio che cerca l’uomo, la donna, il popolo,
sognando
di costruire insieme la città degli uomini;
un
Dio che fin nel profondo del suo essere è comunione
e
per la comunione di tutti fra loro e con lui
è
pronto a donare vita e risurrezione.
Questo
Dio si imbatte nelle lacrime: «Maria di Màgdala
stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva».
Sono così tante le lacrime, e sembra
che l’umanità incontri sempre più gravi motivi per
piangere.
Gesù si avvicina a chi piange, Dio si avvicina a chi
piange,
Dio prova dolore per il dolore dei suoi figli.
Gesù risponde e dà gioia.
Comprendiamo che Pasqua è Dio che asciuga le lacrime;
e noi siamo nella Pasqua quando asciughiamo le lacrime:
«Siate misericordiosi come il Padre vostro è
misericordioso»...
Però la gioia passa attraverso all’affinamento della
domanda
e attraverso alla sorpresa della risposta.
La domanda va affinata: «Chi cerchi?».
Certo, cerchi la felicità, la pace, l’armonia,
cerchi anche la vivacità, la dinamicità del vivere,
cerchi il gusto del sorriso o del riso, il bene della
condivisione,
il fascino di tutto ciò che è bello, il gusto di ciò che
è buono,
la fiducia in ciò che è vero... Ma Chi cerchi?
Nell’esperienza di san Francesco
c’è l’incontro risolutore con il lebbroso; ma non basta:
«Francesco incontra il volto autentico di Dio
nella carne povera e sofferente degli uomini,
ma è mediante la Croce che egli riesce a capire fino in
fondo
il grande dono ricevuto da Dio nell’abbraccio del
lebbroso»
(Marius Petru Bîhla). Ancora la domanda: Chi cerchi?
Non riesco a trovare l’uomo e ogni più nobile
atteggiamento,
se non confermo e identifico Colui che cerco:
«Ho cercato l’amore dell’anima mia...
Voglio cercare l’amore dell’anima mia» (Ct 3,1.2).
La sorpresa della risposta è Gesù risorto,
non
il custode del giardino, ma il Creatore stesso del giardino,
non
un padrone, ma lo Sposo dell’umanità:
questa pagina del vangelo riecheggia il Cantico dei
cantici
e il sentimento di amore dello Sposo per l’umanità
rinnovata:
«Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!» (Ct
4,1).
Non una riflessione per sognare e non pensare
a una realtà talora violenta, tremenda e insopportabile.
Ma la necessità (e la verità) di un’esperienza di fede
che non può accontentarsi di qualche buon pensiero:
abbiamo ricevuto la garanzia del Risorto,
abbiamo ricevuto le sue spiegazioni sul Regno,
impariamo a cercare il Risorto...