2^ Domenica di Avvento

LETTURA 
Lettura del profeta Isaia 19, 18-24 

Così dice il Signore Dio: «In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole. In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra».


Per il popolo d’Israele l’Egitto è sempre stato il regno nemico da abbattere: immagine di una nazione schiavista che porta alla morte, paese di idolatria. Così Isaia, nei capitoli 19 e 20, pronuncia un giudizio sull’Egitto che però, in modo sorprendente, si capovolge; nel tempo della sventura Dio soccorre e usa benevolenza per un popolo sconfitto e in preda al terrore.
Negli anni del secolo VIII (prima del 701 a.C). i Faraoni avevano tentato di porre resistenza contro l’Assiria, cercando di coalizzare piccoli stati orientali per difendersi e per fermare l’invasione. Isaia era sempre stato in disaccordo con tale politica.
Nei primi versetti del cap. 19 vengono predetti il giudizio di Dio contro l’Egitto: si sarebbero scatenate lotte civili e sarebbe giunta l’invasione straniera ( come avvenne attorno al 670 a.C.). Le predizioni sono catastrofiche: dalla siccità del Nilo alle piante che, perciò, si sono seccate al territorio tutto che diventa deserto. Perdono il loro lavoro i tessitori, i pescatori, gli agricoltori.
Poi improvvisamente lo scenario cambia (il testo di oggi), tra i più stupefacente del VT riguardo la conversione dei popoli al Dio d’Israele.
Si parla di 5 città abitate da Ebrei che fondano comunità e colonie ebraiche, che convertono il paese alla fede del Jhwh.
Di fatto c’è stata una dispersione della popolazione ebraica che si è istallata anche in Egitto e si parla, nei documenti di Elefantina, di un tempio costruito in onore di Jhwh alla prima cataratta del Nilo. Non si sono trovate le 5 città, archeologicamente, ma forse si tratta di un numero simbolico per ricordare che qui si stabilisce una popolazione che si appoggia alla Legge (5 libri). Probabilmente c’è anche il richiamo a Eliopoli, “città del sole”, come si traduce il nome della città, dove viene adorato il Signore e si giura sul suo nome. Infatti ci si fida di Lui e su di Lui si imposta la propria verità.
IL richiamo a un altare e ad un obelisco (stele) documenta la fede in Jhwh che fa superare l’esclusività di Gerusalemme e del suo unico tempio. Anzi si ripensa ad una salvezza di popol, in Egitto, a somiglianza della salvezza operata da Dio attraverso Mosè.
Si immagina che, finalmente, si costruirà una strada che andrà dall’Assiria all’Egitto e vice versa e vi cammineranno i popoli, passando attraverso Israele che “sarà Benedizione” allo stesso modo di quella benedizione che portò Abramo al suo popolo. C’è una splendida visione che fa riconoscere una predilezione particolare e un riconoscimento per i popoli pagani che, finora, erano nemici e che finalmente sono riconosciuti ed amati come un popolo unico di grazia.
In tutta la Scrittura non esiste una equiparazione simile. Anche dove si parla di riconciliazione dei popoli stranieri, Gerusalemme ed il suo tempio hanno sempre una loro preminenza e le genti straniere o sono sottomesse o almeno spontaneamente portano doni all’unico tempio di Jhwh nella città santa.

EPISTOLA 
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 3, 8-13 

Fratelli, a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.


Tutto il capitolo 3 ripropone la consapevolezza che il messaggio di Dio passa attraverso lui, Paolo, per arrivare ai pagani. In fondo Paolo, ebreo convinto, e perciò fedelissimo custode della fede d’Israele e, quindi, della predilezione di Dio nell’Alleanza offerta solo agli Ebrei, si stupisce di essere stato scelto da Dio per il ruolo di apostolo “per le genti”. In pratica, ogni volta che vi ritorna a pensare, si stupisce di questa vocazione e di questa scelta. Non si rammarica poiché, nella sua esperienza, ha scoperto splendore di fedeltà e di amore anche tra i pagani ed ha assistito ad una rivoluzione del cuore dei lontani, via via che accoglievano il messaggio di Gesù. Non si pente, anzi si sente gioioso, addirittura orgoglioso nella sua piccolezza e umiltà, poiché, per mezzo suo, “annuncia alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo”. Si sente tutta la sorpresa di essere tramite tra la profondità di Cristo e l’immensità del creato. Esiste un mistero gelosamente custodito da Dio e assolutamente impensabile. Ora Paolo sa che quel mistero passa per le sue mani e nelle sue parole.
E Paolo sa che, attraverso lui, sono svelate la grande misericordia e la salvezza per tutti. Questo segreto è ora affidato alla Chiesa perché, aprendo il mondo alla “multiforme sapienza di Dio”, faccia scoprire anche ai “principati e potenze dei cieli" la conoscenza del progetto divino sul mondo.
Paolo sta suggerendo una vocazione che il Signore ha offerto prima di tutto ai 12, quindi a lui come annunciatore alle genti. Non si tratta di esserne degni, si tratta di accogliere e di credere che il Signore passa anche attraverso le nostre parole, le nostre scelte, la nostra fede, le tribolazioni che richiedono una fedeltà larga. Paolo conosce, perché l’ha percepito, il tesoro che va comunque custodito, salvato e offerto: e sta dicendo a tutti noi che siamo nella Chiesa che è il dono che possiamo fare al mondo.
Un dono gratuito è ricevuto, e va riproposto e scambiato senza altro guadagno nel sapere che il Signore, per mezzo nostro, ha raggiunto altri e li rende fiduciosi, portatori di speranza e di grazia. 
La misericordia, che il Signore offre ad ogni popolo , senza distinzione, ci immette sulla strada della pace poiché ci impegna a rintracciare, noi stessi, la misericordia di Dio con tutti, Certamente , ci dice Paolo, non possiamo più permetterci di selezionare le persone per classi, onore, stima ed interessi. Non possiamo riprendere i miti della discriminazione, del razzismo, della intolleranza o del fanatismo né accettare le paure del diverso. Il Signore ci ha posto sulla strada nell’accoglienza, del rispetto e della fraternità.

VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Marco 1, 1-8 


Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: / egli preparerà la tua via. / Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri», / vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Mi ha sempre colpito l’inizio del vangelo di Marco con  il suo incipit così essenziale, così totale.
Dove proprio la parola ‘’inizio”  ha un rilievo preminente e significativo.
Infatti oltrepassa il richiamo cronologico, per affondare in quello più propriamente spirituale, legato alla nostra zoppicante esperienza di credenti.

L’Avvento ci riconduce sempre alla conversione, ad un ricominciare finalmente decisivo del nostro rapporto con il Signore.  Senza scappatoie, senza nascondimenti ed autogiustificazioni. 
Infatti siamo convinti che seguire il Signore sia importante e fondamentale per la nostra vita, ma spesso ci lasciamo cogliere dalla tentazione di non starGli troppo vicino, di mettere delle misure di sicurezza, per non lasciarci coinvolgere totalmente, per non legarci definitivamente.
Ci piace tenere aperta qualche uscita, qualche riserva autonoma, qualche rifugio.

Marco oggi ci ricorda che l’avvento può essere nuovamente un inizio, una ripresa di un rapporto bello con Gesù, perché è Lui la “buona notizia”, perché è Lui che ci invita a camminare insieme nella novità dell’annuncio e dell’esperienza dell’amore di Dio.  Sulle sue orme, dietro i suoi passi.
E lungo le nostre strade vi sono anche i “precursori”, coloro che il Signore invia per indirizzarci verso di Lui, coloro che seguendo la voce dei profeti “preparano la via”, persone concrete disseminate nella nostra vita, che non si stancano di additare, di  segnalare ‘colui che battezzerà in Spirito Santo’, che ci immergerà nell’amore di Dio.

Sono parole di speranza a cui aggrapparci con fedeltà e fiducia in un clima di guerra e di terrorismo da cui siamo avvolti, ma che, proprio per la brutalità disumana cui il fanatismo e la ferocia stravolgono l’uomo, ci continuano a parlare di inizio, di ripresa, di vita che abbia un senso positivo, di possibilità di bene.

Proprio perché Egli continua a venire in questa nostra carne, umanità lacerata, e perché ci sono sempre dei Giovanni Battista che non si stancano di indicare con forza la strada per incontrarLo. 
Strada di giustizia, di pentimento, di conversione.