1^ Lettura
Isaia. 11, 1-10
In quei giorni. Isaia disse:
11,1Un germoglio spunterà
dal tronco di Iesse, un virgulto
germoglierà dalle sue radici. 2Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito
di conoscenza e di timore del Signore. 3Si compiacerà del timore del
Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per
sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni
eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua
bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. 5La
giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. 6Il lupo
dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il
vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. 7La
mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il
leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla
buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. 9Non
agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché
la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. 10In
quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le
nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.
Il
profeta Isaia sente insieme la povertà del suo popolo che si è sviluppata
sempre più e la pietà per questo disfacimento palese. Questo popolo era nello
splendore e nella potenza al tempo di Davide che germogliò come un virgulto da
una radice povera e sconosciuta, il pastore di Betlemme Iesse, ed era diventata
forte come i cedri del Libano. Ma ormai sono venuti i boscaioli ed hanno
tagliato, bruciato, aggredito questo grande popolo benedetto da Dio un tempo,
ma ora lasciato in balia del male che aggredisce e che corrode per il peccato
di abbandono di Dio e per il rifiuto della sua legge. Ma mentre lo
scoraggiamento serpeggia di fronte agli attacchi delle grandi potenze come
quella degli Assiri (siamo nel tempo della espansione di questi eserciti di
invasori e razziatori che travolgono tutto e che sottometteranno il regno del
Nord: le 10 tribù d’Israele nel 721 a.C.), Il profeta sente il suo compito che
riceve da Dio con urgenza e impegno: il popolo deve essere aiutato alla
speranza.
E’ la
responsabilità che ogni fedele, amico di Dio, deve vivere con fiducia. “Se sei
fedele a Dio devi portare speranza ai fratelli ed alle sorelle”. E Isaia
incoraggia il suo popolo del Sud: la Giudea e Gerusalemme, tracciando l'identità
di un nuovo re, nel “libro dell'Emanuele” (parte iniziale del libro).
C’è il profilo della
vita nuova: il capitolo 7 ne annuncia il concepimento, il c.9 ne canta la nascita
regale, il c.11 ne descrive il regno. E dal ceppo ormai sterile e abbandonato,
da quelle radici nasce un virgulto e sarà ricco delle Spirito del Signore. E’
lo Spirito ricordato 4 volte per indicare l’universalità, l’abbondanza e la pienezza che nascono dai quattro punti
cardinali della terra e spira come all’inizio della creazione (Gn1,2). La
potenza del Signore lo arricchirà di doni,
elencati in tre coppie che si richiamano ai doni dei Grandi del popolo:
- sapienza e
intelligenza (doni a Salomone),
- consiglio e
fortezza (doni a Davide),
- conoscenza e
timore del Signore (conoscenza e rispetto di Dio come la ricchezza di fede dei
patriarchi). Questo elenco sarà ripreso nel catechismo e arriverà a definire i
7 doni dello Spirito: Va aggiunta “pietà”, la scoperta della misericordia di
Dio per noi e quindi la nostra
disponibilità a voler bene.
Ci sarà giustizia
perché affronterà drammi e difficoltà con lucidità e non “ per sentito dire”.
Si farà carico della giustizia dei poveri e la garantirà. Questo eliminerà male
e guerra e sarà garante della pace. Ci sarà pace tra cielo e terra, tra gli
uomini e le donne, tra gli stessi animali, come all’inizio della
creazione. L’amore di Dio e il rispetto
della sua legge porteranno giustizia e quindi il rifiuto della violenza. Questo
germoglio lo abbiamo conosciuto. Continuiamo, certo, a vedere drammi e
ingiustizie, guerre e violenze, ma questo germoglio ha generato un popolo che è
la Chiesa ed a noi, che ne facciamo parte, vengono consegnati questa proposta
di novità e l’impegno della pace vera.
2^ Lettura
Lettera agli Ebrei. 7, 14-17. 22. 25
Fratelli,
14È noto infatti che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di
Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15Ciò risulta ancora più evidente dal momento che
sorge, a somiglianza di Melchisedek, un sacerdote differente, 16il
quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la
potenza di una vita indistruttibile. 17Gli è resa infatti questa
testimonianza: Tu sei
sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedek. 22Per
questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore. 23Inoltre,
quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro
di durare a lungo. 24Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un
sacerdozio che non tramonta. 25Perciò può salvare perfettamente quelli
che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per
intercedere a loro favore.
Nel mondo degli ebrei convertiti ritorna la nostalgia del
mondo sacerdotale che serviva il tempio nel fasto di grandi liturgie di
offerte, sacrifici, presenze significative e personaggi famosi. Non ultimo,
manca, a questi ebrei convertiti, la soddisfazione di poter offrire a Dio costosi animali. L’offerta restituiva la
soddisfazione di essere graditi a Dio e di fare qualcosa per Lui. Tanto da
meritare il suo intervento.
Nel Nuovo Testamento, solo nella lettera agli Ebrei di
parla di sacerdozio per limitarsi al “Sommo sacerdote” che è Gesù, e in
relazione della sua morte in croce e la
sua Pasqua. Per i ministri della Comunità cristiana si usano altri nomi che
vengono dal mondo laico greco: “episcopi, presbiteri e diaconi”. Con il secolo
terzo si inizia a chiamare sacerdote il “vescovo” e solo più tardi si usa la
parola “sacerdote” anche per i presbiteri. Anzi si arriva a ritenere
equivalenti il sacerdozio ed il presbiterato. Ordinati con il sacramento
dell’Ordine, i sacerdoti nella Comunità cristiana si dedicano con il loro ministero ad un particolare servizio a Cristo ed alla Chiesa.
Questa lettera confronta l'antico sacerdozio levitico del
tempio, fatto di uomini peccatori e il
perfetto e unico sacerdozio di Cristo. Tale sacerdozio di Gesù non si misura,
dice l’autore, con il sacerdozio levitico, ma con la figura di Melchisedek, re
di Salem (Gerusalemme), citato in due passi biblici: Gen14,17-20 e Salmo 110,4.
Gen14,17-20: "Quando Abram fu di ritorno, dopo la
sconfitta di Chedorlaòmer e dei re che erano con lui, Melchisedek, re di Salem,
offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste
parole: «Benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della
terra, e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici». Ed egli (Abramo) diede a lui la decima
di tutto".
Questo semplicissimo episodio diventa un segnale
preziosissimo se unito al testo del
Salmo 110,4: "Il Signore ha giurato e non si pente: «Tu sei
sacerdote per sempre al modo di Melchisedek».
Il re di Salem,
Melchisedek, con la sua breve e misteriosa comparsa, è ricordato come il
re di Gerusalemme dove Dio abita secondo la tradizione ebraica. Di lui non si
descrive né la sua genealogia, né la nascita e la morte. Si racconta solo che
benedice Abramo e da lui riceve le decime. È sacerdote e insieme re giusto e
pacifico. Gesù Cristo è sacerdote dello stesso tipo di Melchisedek in quanto
insieme è Sacerdote e Re. Si applica così il salmo 110. È rappresentato come
sacerdote eterno e nel rapporto con il sacerdozio di Gesù, si dice che è superiore a quello dei lieviti.
Insieme nel Salmo 110,4 il re
Melchisedek è considerato un anticipo della figura di Davide e, a sua volta,
una figura del Messia, re e sacerdote.
La mediazione di Gesù porta alla piena realizzazione della
figura di Melchisedek: Gesù è la salvezza
totale perché è "perfetto" agli occhi di Dio. Infatti, con la
sua ubbidienza, è stato cosciente e fedele alla volontà del Padre fino alla
morte.
Questa presenza nella nostra vita, al centro della nostra
fede, garantisce di avere accesso al Padre e di svolgere il compito che il
sacerdote sviluppa: offrire i doni del Padre, in particolare, il suo Spirito e
la sua misericordia, e portare al Padre le nostre attese con le nostre
preghiere. Noi, che a somiglianza di Gesù siamo sacerdoti, re e profeti, con
tale intercessione possiamo sentirci fiduciosi di essere dei buoni testimoni
per Gesù e dei buoni fedeli verso inostri fratelli e sorelle.
Giovanni. 1, 19-27a. 15c. 27b- 28
In quel tempo.
19Questa è la testimonianza di
Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a
interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io
non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?».
«Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli
dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci
hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose: «Io sono voce
di uno che grida nel deserto: Rendete
diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 24Quelli che erano stati inviati
venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero:
«Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni
rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non
conoscete, 27acolui
che viene dopo di me: 15c ed era prima di me: 27b a lui
io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo
avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Una domanda si rincorre nella 1ª parte del Vangelo di
oggi: “Tu, chi sei?”. “Chi sei, dunque?”. “Che cosa dici di te stesso?”. È una
domanda rivolta a Giovanni, il Battista;
questo personaggio umile e gigantesco che annuncia il Messia nel quadro di una
giustizia da recuperare e di una dignità
umana disprezzata nelle pieghe della corruzione e dell’indifferenza dilaganti.
È necessaria una conversione radicale, un modo diverso e
autentico di pensare a Dio e l’umanità. Ci vuole una preparazione ad accogliere
Gesù che si presenterà nel modo più impensabile come manifestazione di Dio.
Ma è una domanda rivolta anche a ciascuno di noi: “Tu, chi
sei? Che cosa dici di te stesso?”. E ci troviamo impreparati a rispondere: è un
invito a guardarci dentro senza veli e senza risposte preconfezionate,
lasciandoci svelare da lui e ricondurre alla condizione di figli amati, di
persone chiamate a salvezza. Salvezza da noi stessi e da quanto ci fa scivolare
nell’ombra della morte.
Sarebbe bello poter dire anche noi di essere “voce”, cioè
capaci di comunicare qualcosa di importante e di vero, desiderosi di aprire e
di spianare le vie del Signore. Di far nascere relazioni vive. Un’altra
riflessione riguarda l’ultima parte di questo Vangelo, dove viene detto: “In
mezzo a voi sta uno che non conoscete”, che ci rimanda alla constatazione che
normalmente non ci accorgiamo del Signore che sta in mezzo a noi e che perciò
non dobbiamo mai smettere di cercarlo e di lasciarci condurre là dove abita per
capire che l’incontro con Lui è irripetibile e incancellabile, nonostante tutte
le nostre defezioni e allontanamenti.
“In mezzo a voi sta uno che non conoscete”; uno che sarà,
che è Colui che libera, che cammina con noi, che non ci abbandona e che
desidera salvarci sempre e consolarci.